Tema molto discusso in giurisprudenza, atteso l’incremento notevole nel corso degli ultimi anni di contenzioso al riguardo, è l’azione che il distributore di gas naturale è obbligato a proporre nei confronti del cliente finale moroso (o presunto tale), per l’ipotesi in cui il venditore abbia attivato la procedura c.d. di “default”.
La disciplina di tale peculiare materia è rinvenibile nel Testo Integrato Morosità Gas (TIMG) e nel Testo Integrato delle attività di Vendita del Gas (TIVG).
In particolare, le disposizioni rilevanti sono così riassumibili:
1) in caso di morosità del consumatore finale, la società esercente il servizio di vendita del gas, ove intenda risolvere il contratto di fornitura e il punto di riconsegna non sia disalimentabile senza la cooperazione del consumatore medesimo, inoltra alla società di distribuzione del servizio richiesta di cessazione amministrativa;
2) la società di distribuzione, ricevuta la suddetta richiesta, attiva, quindi, il c.d. servizio di default, in virtù del quale, temporaneamente, colui che è intestatario della cessata utenza, essendo ancora allacciato alla rete di distribuzione, continua a compiere prelievi di gas (seppur in mancanza di un contratto regolante la sua posizione);
3) decorso il periodo massimo di sei mesi, la società di distribuzione, ove la situazione di (presunta) morosità sia rimasta invariata, è tenuta a concludere la procedura di chiusura del punto di riconsegna e, quindi, a porre in essere tutte le azioni necessarie ai fini della disalimentazione, ivi comprese iniziative giudiziarie dirette ad ottenere l’esecuzione forzata.
È in questo contesto che si inserisce un tema, come detto, molto discusso, ossia quello della natura del contratto stipulato dall’utente finale e dell’onere della prova cui è tenuto, in sede di giudizio (trattasi normalmente di procedimenti ex art. 700 cpc) il ricorrente/ distributore di gas.
Investito della questione, il Tribunale di Brindisi, con l’ordinanza del 02.01.2017 (facendo proprio un orientamento del Tribunale di Cremona, ordinanza del 04.07.2014) ha ricondotto, innanzitutto, il rapporto tra distributore ed utente finale all’ambito del contratto di somministrazione, reso peculiare dal fatto che, nel caso di specie, tale sinallagma risulta trilaterale, poiché il venditore del gas non è colui che esegue materialmente la prestazione di fornitura/distribuzione, in quanto di essa si occupa il distributore.
Il Giudice ha poi chiarito che in tale rapporto rimangono valide le regole generali del codice civile dedicate al contratto di somministrazione e “in particolare il presupposto generale, per poter sospendere il servizio, della morosità di lieve entità (previa diffida), nonché, per risolvere il contratto, l’inadempimento di notevole importanza”.
Da queste premesse il Giudice è giunto al rigetto del ricorso ex art. 700 cpc proposto dalla società distributrice, in quanto in quanto quest’ultima non avrebbe prodotto tutta la documentazione necessaria, tra cui la prova della morosità del cliente finale, respingendo, così, la tesi addotta dalla società di distribuzione vale a dire la propria estraneità al contratto in essere tra venditore e consumatore, con conseguente inopponiblità ad essa distributrice della eccezione sollevata dal consumatore di inesistenza della morosità
Ha, al contrario, statuito il Tribunale che per accogliersi la richiesta giudiziale di disalimentazione avanzata dal distributore, infatti, è imprescindibile l’accertamento della sussistenza della morosità.
Nell’ordinanza del Tribunale di Brindisi, è stato infatti, rilevato che, milita nel senso di cui sopra, la stessa previsione –così come disposto dall’AEEG, Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico- che individua quale condizione di procedibilità dell’azione, quella della ricezione da parte del cliente, della raccomandata con cui il venditore contesta allo stesso la morosità, sussistendo quindi “l’onere del distributore-ricorrente di dare la prova, oltre che delle comunicazioni sopra indicate, del contratto tra cliente finale ed il soggetto fornitore e quella del contratto tra quest’ultimo ed il distributore, della morosità del cliente finale e del suo ammontare, dovendo il Giudice valutare il rispetto della disciplina appena citata”.
Ciò in quanto, secondo la pronuncia in esame, è lo stesso TIMG ad indicare tutta la documentazione che la società fornitrice (al fine di agevolare le iniziative giudiziarie finalizzate ad ottenere la disalimentazione fisica del punto di riconsegna), deve inviare all’impresa di distribuzione, quale: copia delle fatture non pagate, della documentazione relativa alla costituzione in mora del cliente finale, della risoluzione del contratto con il cliente finale; del contratto di fornitura o dell’ultima fattura pagata; documento di sintesi attestante l’ammontare del credito insoluto, nonché ulteriore documentazione idonea a evidenziare la situazione di morosità del cliente finale (art. 13, co. VII TIMG).
In altri termini, per giungere all’accoglimento del ricorso, il distributore-ricorrente avrebbe dovuto dare la prova del contratto tra il cliente finale e il soggetto fornitore, tra quest’ultimo e il distributore e della documentazione inerente la sussistenza e l’entità della morosità.
In conclusione si segnala che, di recente, nello stesso senso si è pronunciato anche il Tribunale di Verona (05.03.2017) secondo cui “non può essere accolta la misura d’urgenza invocata dalla società concessionaria del servizio gas per accedere all’immobile del cliente onde disalimentare il contatore del gas somministratogli dalla società di vendita con la quale il medesimo aveva, a suo tempo, stipulato il relativo contratto di fornitura, quando la società ricorrente non dia la prova sia del contratto con l’utente finale, sia dell’avvenuto rispetto della procedura di contestazione della morosità”.