RISARCIMENTO DEL DANNO PER CANCELLAZIONE DEL PROFILO SOCIAL

RISARCIMENTO DEL DANNO PER CANCELLAZIONE DEL PROFILO SOCIAL

Configura un inadempimento contrattuale di una delle due parti, l’ipotesi di cancellazione di un profilo social senza giusta causa per lesione di un grave diritto della persona garantito e tutelato dalla Costituzione. Tale danno non patrimoniale è risarcibile ai sensi dell’art. 2059 c.c.”: a dirlo è la seconda sezione del Tribunale di Bologna con la sentenza del 10.03.2021.

I fatti di causa: un utente di un noto social network, cui era iscritto da circa 10 anni, titolare di un account personale recante il proprio nome e cognome e di due pagine ad esso collegate, si vedeva improvvisamente cancellare il proprio profilo e le due pagine senza che la società gestore del profilo offrisse all’utente motivazione alcuna.

Pertanto, l’iscritto ricorreva all’Autorità Giudiziaria per la tutela dei propri diritti e per ottenere il risarcimento dei danni subiti e, ritenendosi consumatore e non professionista nell’ambito del rapporto con la predetta società, in applicazione della disciplina prevista dal Codice del Consumo, adiva l’Autorità giudiziaria italiana e non quella stabilita secondo le condizioni generali del contratto stipulato tra l’utente de quo e la detta società al momento dell’iscrizione sulla piattaforma del social network.

Ed in effetti, il giudice adìto confermava la giurisdizione italiana nel caso di specie sul rilievo che non emergeva che il ricorrente avesse allegato un effettivo uso promiscuo del proprio profilo personale anche a fini professionali, essendosi il medesimo limitato a rappresentare, in modo piuttosto generico e fumoso, come il profilo e le pagine a lui riferibili avessero inciso sulla sua immagine e identità pubblica, essendosi ivi svolta intensamente la sua vita relazionale e dunque con riflessi su ogni aspetto della sua vita sociale, tanto di natura privata (amicizie, conoscenze…) che pubblica (partecipazione alla vita politica, ad associazioni…), comprensivi, com’è ovvio, della stessa immagine e vita professionale.

Riguardo invece all’inquadramento giuridico del contratto oggetto di causa, il Tribunale di Bologna osservava che attraverso la “iscrizione” al servizio online l’utente accede ad un servizio di rete che gli consente di entrare in contatto con gli altri utenti in tutto il mondo, condividendo informazioni, documenti (fotografie, files, collegamenti a altri siti ecc..) e svolgendo altresì discussioni a mezzo di messaggi -più o meno, a seconda delle opzioni selezionate- pubblici, oppure privati.

Le condizioni generali di contratto (cd. Condizioni d’uso) che regolano il rapporto tra ciascun utente e ed il network dispongono che quest’ultimo “crea tecnologie e servizi che consentono agli utenti di connettersi fra di loro, creare community e far crescere aziende”.

Il gestore del social provvede a fornire tale servizio a titolo gratuito, traendo comunque vantaggio economico dalle inserzioni pubblicitarie, anche mediante l’utilizzo di dati personali degli utenti che consentono di offrire ai terzi spazi pubblicitari calibrati sugli specifici interessi dei loro destinatari.

La gratuità della prestazione non permette di assumere che l’utente, consentendo l’utilizzo e la diffusione dei propri messaggi e contenuti, non fornisca una prestazione che è, anch’essa, suscettibile di valutazione economica.

A tale riguardo le menzionate condizioni d’uso dispongono che anziché richiedere all’utente un pagamento per l’utilizzo della piattaforma o degli altri prodotti e servizi coperti dalle Condizioni, il gestore riceve una remunerazione da parte di aziende e organizzazioni per mostrare agli utenti inserzioni relative ai loro prodotti e servizi. Utilizzando i prodotti, l’utente accetta che la società possa mostrargli inserzioni che quest’ultima ritiene pertinenti per l’utente e per i suoi interessi. Essa usa i dati personali dell’utente per aiutare a determinare quali inserzioni mostrare all’utente.

Dunque quest’ultimo offre al gestore, con atto negoziale dispositivo, l’autorizzazione a utilizzare i propri dati personali a fini commerciali, sicché, nonostante l’affermata gratuità del servizio, sussiste per entrambi i contraenti il requisito della patrimonialità della prestazione oggetto dell’obbligazione (art. 1174 c.c.).

A prescindere dall’utilizzo che la società convenuta ne faccia (sia che li ceda e trasmetta a terzi, sia che se ne serva soltanto per offrire ai terzi i presupposti di una informazione pubblicitaria mirata), non può revocarsi in dubbio che i dati personali dell’utente abbiano un manifesto valore economico e siano inquadrabili come controprestazione nel rapporto utente-gestore.

Ne consegue il carattere evidentemente oneroso del rapporto negoziale, posto che il contratto è fondato su un evidente sinallagma, per cui alla prestazione del servizio da parte del gestore corrisponde il suo interesse ad utilizzare i contenuti, le reti di relazioni e i dati personali dell’utente, a fini di raccolta pubblicitaria.

Il regolamento contrattuale non prevede il diritto del gestore di recedere ad nutum, atteso che il recesso è espressamente previsto soltanto per l’ipotesi di violazione delle regole contrattuali da parte dell’utente.

Sono previste, in particolare, in caso di violazione delle regole contrattuali da parte dell’utente, una serie di misure rappresentate, in ordine di crescente gravità, dalla rimozione di contenuti alla sospensione dall’utilizzo del servizio e, nei casi più gravi, la disabilitazione dell’account, sia temporanea che definitiva.

Orbene, la rimozione di contenuti e la sospensione o cancellazione di account è stabilita soltanto per le giuste cause indicate nel regolamento contrattuale, con obbligazione per il gestore di informare l’utente delle ragioni della rimozione.

Pertanto, il Tribunale di Bologna ha osservato che l’avvenuta rimozione, nel caso di specie, del profilo personale e delle pagine ad esso collegate, in carenza di qualsiasi violazione delle regole contrattuali da parte dell’utente e in carenza di qualsiasi informazione all’utente delle ragioni della rimozione, anche non imputabili al gestore, configura un inadempimento della società, inquadrabile ai sensi dell’art. 1218 c.c., dell’obbligazione assunta di mantenere attivi il profilo e le pagine.

Ha argomentato ancora il Giudice del Tribunale di Bologna: è noto che nel nostro ordinamento il danno non patrimoniale è risarcibile quando sia stato leso in modo grave un diritto della persona tutelato dalla Costituzione (posto che il rinvio di cui all’art. 2059 c.c. ai casi in cui la legge consente il risarcimento del danno non patrimoniale ben può essere riferito, dopo l’entrata in vigore della Costituzione, anche alle previsioni della legge fondamentale), anche quando derivi da un inadempimento contrattuale (Corte di cassazione SS.UU., Sentenza n. 26972 del 2008); nè può dubitarsi che il diritto di svolgere la propria vita di relazione e il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero configurino diritti fondamentali della persona costituzionalmente garantiti.

Le modalità con cui si esercita la vita di relazione e si manifesta il proprio pensiero (personalmente, a mezzo stampa, per televisione, via internet, sui social ecc.) non interferiscono, di per sè, con il riconoscimento della rilevanza costituzionale di tali diritti, afferendo la valutazione dei mezzi di espressione soltanto alla stima in concreto dell’effettività e gravità della lesione.

Il ricorrente nel caso di specie ha allegato d’essere stato titolare, per anni, di un profilo personale e di una pagina assai vivaci, ricchissimi di contatti, interazioni e scambi di comunicazioni con l’utenza. Ha inoltre allegato d’avere conservato in tale profilo e in tali pagine documenti fotografici di particolare rilievo e importanza, anche per la propria identità personale.

A fronte di tale specifica allegazione, la resistente, unico soggetto in possesso di tutti gli elementi relativi al numero di contatti, di interazioni sociali, di scambio di informazioni, alla pubblicazione e conservazione di fotografie e altro, ha opposto soltanto l’avvenuta distruzione, da parte sua, di tutti i dati.

Pur incombendo, come noto, sul danneggiato l’onere di provare il danno effettivamente patito –emergente, per lucro cessante, non patrimoniale– nel caso di specie appare evidente come il principio di vicinanza della prova imponga di assumere che sia qui invertito l’onere della prova, atteso che tutte le prove erano nella piena disponibilità della (sola) resistente, mentre erano del tutto precluse al ricorrente per l’avvenuta cancellazione dell’account, e che la resistente aveva deciso di impedirne la produzione in giudizio.

Il Giudicante ha riconosciuto, altresì, che è evidente, secondo massima di comune e indiscussa esperienza, che la partecipazione al social network rappresenti nell’attualità un elemento rilevantissimo per la vita di relazione dei suoi utenti. Le piattafome social non sono solo una occasione ludica, di intrattenimento, ma anche un luogo, seppure virtuale, di proiezione della propria identità, di intessitura di rapporti personali, di espressione e comunicazione del proprio pensiero.

L’esclusione dal social network, con la distruzione della rete di relazioni frutto di un lavoro di costruzione, è suscettibile, secondo il Tribunale di Bologna, di cagionare un danno grave, anche irreparabile, alla vita di relazione, alla possibilità di continuare a manifestare il proprio pensiero utilizzando la rete di contatti sociali costruita sulla piattaforma e, in ultima analisi, persino alla stessa identità personale dell’utente, la quale viene oggi costruita e rinforzata anche sulle reti sociali. Tal danno non è facilmente emendabile creando un nuovo profilo personale e nuove pagine, atteso che resta la perdita della rete di relazioni, la quale viene costruita dagli utenti del social network con una attività di lungo periodo e non semplice.

Alla luce di tanto e data inoltre l’impossibilità, dedotta dalla stessa resistente società di gestione di ripristinare l’account, con perdita dunque per sempre di tutti i contatti, dei messaggi e dei documenti ivi conservati, il Giudice del Tribunale di Bologna ha ritenuto equo stimare il danno di natura non patrimoniale in concreto patito dal ricorrente in Euro 10.000,00 per il profilo personale, che involge più marcatamente tratti direttamente connessi con diritti personali, ed Euro 2.000,00 per ognuna delle due pagine che, pur essendo anch’esse espressione della sua vita di relazione, appaiono connesse a interessi di natura più squisitamente hobbistica del resistente.

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