Con la recentissima ordinanza n. 9147 del 19 maggio scorso la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul diritto all’oblio e sul suo rapporto con il diritto di cronaca, emanando il principio secondo cui in materia di diritto all’oblio, laddove il suo titolare lamenti la presenza sul web di una informazione che lo riguardi -appartenente al passato e che egli voglia tenere per sè a tutela della sua identità e riservatezza- e la sua riemersione senza limiti di tempo all’esito della consultazione di un motore di ricerca avviata tramite la digitazione sulla relativa “query” del proprio nome e cognome, la tutela del menzionato diritto va posta in bilanciamento con l’interesse pubblico alla conoscenza del fatto, espressione del diritto di manifestazione del pensiero e quindi di cronaca e di conservazione della notizia per finalità storico-sociale e documentaristica, e può trovare soddisfazione, fermo il carattere lecito della prima pubblicazione, nella deindicizzazione dell’articolo sui motori di ricerca generali o in quelli predisposti dall’editore.
Nel caso di specie, l’amministratore di una società di rappresentanza di dispositivi medicali pretendeva la cancellazione di una notizia di cronaca giudiziaria che lo aveva visto patteggiare la pena, pubblicata su un quotidiano on line, perché la medesima notizia, lamentava l’amministratore della società, oltre ad essere stata inserita nell’archivio della testata giornalistica, risultava nel caso in cui si fosse digitato il suo nome e cognome sul motore di ricerca “Google Italia”, ed altri.
Secondo la Suprema Corte il diritto all’oblio, del quale quindi offre preliminarmente la definizione, è il diritto a non rimanere esposti, senza limiti di tempo, ad una rappresentazione non più attuale della propria persona, con pregiudizio alla reputazione ed alla riservatezza, per la ripubblicazione -a distanza di un importante intervallo temporale destinato ad integrare il diritto ed al cui decorso si accompagni una diversa identità della persona- o al mantenimento senza limiti temporali di una notizia relativa a fatti commessi in passato. E nella sua versione dinamina, invece, il diritto all’oblio consiste nel potere, attribuito al titolare del diritto, al controllo del trattamento dei dati personali ad opera di terzi responsabili.
Nel caso sottoposto alla Cassazione il diritto all’oblio matura però in un contesto diverso ed affinato rispetto al classico ed in cui ciò che si paventa, e realizza, è la stretta della persona in una eterna memoria collettiva, quale l’archivio on-line della testata giornalistica.
Il trattamento dei dati personali non è quindi affidato ad una nuova pubblicazione della notizia, per un prodotto editoriale diverso ed originale rispetto al primigenio, espressione del diritto di cronaca e di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.), ma si attua attraverso la riproposizione o conservazione in rete della originaria notizia che resta sine die accessibile attraverso l’indicizzazione tramite i motori di ricerca.
Pertanto, si riproponeva davanti alla Cassazione il tema del bilanciamento tra diritto all’oblio e diritto di cronaca, quest’ultimo declinato anche come trattamento della notizia per finalità storico-archivistica in cui entra in gioco il motore di ricerca che, nella sua operatività in Internet, amplifica, negli effetti, pure la memoria dell’archivio on-line del quotidiano in formato digitale.
Ed ancora, si trattava di stabilire se l’archiviazione delle notizie per finalità storica fosse una modalità di trattamento compatibile con l’iniziale raccolta a scopi giornalistici e se l’attività di raccolta così compiuta rispondesse ad un interesse pubblico.
Il D.Lgs. n. 196 del 2003 agli artt. 11 e 99 prevede che l’archiviazione delle notizie per finalità storica è un trattamento compatibile con quello iniziale a scopo giornalistico e che esso può essere svolto “anche oltre il periodo di tempo necessario per conseguire i diversi scopi per i quali i dati sono stati in precedenza raccolti o trattati” ed all’art. 4 riconosce della finalità storica un’accezione ampia, destinata a ricomprendere con quella di studio, indagine e ricerca anche quella di “documentazione di figure, fatti e circostanze del passato”.
Il dettato costituzionale sancisce invece che l’attività di conservazione delle raccolte delle edizioni dei giornali pubblicate risponde ad un pubblico interesse tanto da assumere un duplice rilievo costituzionale: a) in quanto strumentale alla ricerca storica ed espressione del correlato diritto (art. 33 Cost.); b) in quanto espressione del diritto di manifestare liberamente il pensiero (artt. 21 e 33 Cost.).
Ed ancora. L’archivio di cronaca giornalistica o, più propriamente, l’attività di raccolta ed archivio delle passate edizioni di un giornale accomuna tutti gli accadimenti, senza ricorso a criteri diretti a segnalare la maggiore o minore rilevanza storica dei fatti e quindi senza rielaborazione critica; ad esso deve riconoscersi, secondo gli Ermellini, copertura costituzionale, sia in quanto strumentalmente connesso all’attività di ricerca storica, quale perimetro di un possibile suo utilizzo, sia perché, comunque, espressione della generale manifestazione del pensiero (artt. 33 e 21 Cost.).
Può, quindi, aversi un giudizio di bilanciamento del dato archiviato nell’autonomo rilievo assunto -e condiviso con la raccolta giornalistica di cui fa parte- in rapporto al diritto all’oblio per un percorso destinato a spingersi, a soddisfazione di quest’ultimo, fino alla rettifica-integrazione del dato, laddove l’informazione giornalistica originaria non sia rispondente a verità.
Per siffatto bilanciamento la persona protagonista della notizia, salvi i limiti di verità di quest’ultima, non potrà ottenerne la cancellazione dall’archivio di un giornale on-line, invocando il diritto ad essere dimenticata e tanto nell’assolta finalità documentaristica dell’archivio inteso, nei suoi contenuti, quale declinazione del diritto all’informazione.
Si legge nella sentenza in commento che però il diritto all’oblio prevale sul diritto di cronaca e di archiviazione delle notizie quando l’infomazione in archivio riemerge, in seguito alla digitazione sulla “query” del motore di ricerca del nominativo dell’interessato, per l’intervenuta sua indicizzazione, operazione con cui il gestore di un motore di ricerca include nel proprio data-base i contenuti di un sito web che viene in tal modo acquisito e tradotto all’interno del primo: in tal modo il protagonista dell’informazione risulta leso dall’accesso generalizzato ed indistinto consentito agli utenti del web ai contenuti della notizia.
Decidendo in tal senso, la Cassazione ha mostrato di aver raccordato, per esigenze di unicità ed organicità di sistema, gli esiti di fonti e giurisprudenza comunitaria a quelli interni sui rapporti tra motori di ricerca -protagonisti del contesto digitale e della diffusione dellinformazione in siffatto ambito- loro operatività e diritto all’oblio, ricostruiti all’interno di una normativa Europea nettamente improntata sul trattamento dei dati personali.
Si rammenta la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea pronunciata nella causa C-131/12 del 13 maggio 2014, sugli obblighi dei gestori di motori di ricerca per la tutela dei dati personali delle persone che non desiderano l’indicizzazione e la pubblicazione in modo indefinito di alcune informazioni. Con essa i giudici di Lussemburgo hanno individuato nel gestore di un motore di ricerca o Internet Service Provider (ISP) il “responsabile” del trattamento dei dati personali nell’ambito delle sue responsabilità, competenze e possibilità e come tale chiamato, quindi, rispetto all’attività sua propria di indicizzazione dei risultati, e non di pubblicazione dei contenuti, ad assicurare il rispetto delle prescrizioni della direttiva 95/46/CE, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonchè alla libera circolazione di tali dati.
Nel porre in comparazione il trattamento dei dati -art. 12, lett. b) e art. 14, comma 1, lett. a) direttiva 95/46/CE- che il gestore di un motore di ricerca realizza attraverso l’opera di raccolta, registrazione ed organizzazione dei primi nei programmi di indicizzazione messi a disposizione dei propri utenti sotto forma di elenchi di risultati – sicchè qualsiasi utente, quando effettua una ricerca digitando il nome di una persona fisica ottiene una visione complessiva e strutturata delle informazioni a questa relative su Internet – con i diritti sanciti agli artt. 7 e 8 della “Carta dei diritti fondamentali dell’UE” cd. Carta di Nizza, i giudici sovranazionali hanno stabilito che il gestore del motore di ricerca è obbligato, su richiesta, a sopprimere i link verso pagine web, anche pubblicate da terzi, con informazioni indesiderate.
Pertanto, nel giudizio di comparazione tra i diritti fondamentali della persona ed il diritto alla libertà di espressione, garantiti, rispettivamente, dagli artt. 7, 8 e 11 della “Carta dei diritti fondamentali dell’UE”, l’equilibrio si apprezza raggiunto dalla Corte Europea con lo stabilire che il gestore del motore di ricerca è obbligato ad intervenire sull’elenco delle informazioni indicizzate provvedendo ad eliminare il link di raccordo verso pagine web dell’archivio online che riportino informazioni sulla persona il cui nome sia stato digitato sulla “query” del motore di ricerca e “ciò eventualmente anche quando la loro pubblicazione su tali pagine web sia di per sè lecita” (punto 3 del dispositivo della sentenza 13 maggio 2014 cit.).
Nella fattispecie in esame, è, altresì, invocabile il Regolamento 2016/679, vigente in ambito nazionale dal 25 maggio 2018, che espressamente prevede il diritto di ottenere la cancellazione definitiva dei propri dati personali trattati da un titolare del trattamento con il rilievo però che il diritto alla protezione dei dati personali non è un diritto assoluto, ma deve, come sottolinea il considerando 4 di detto regolamento, essere valutato in relazione alla sua funzione sociale ed essere bilanciato con altri diritti fondamentali, conformemente al principio di proporzionalità e tanto nella premessa che l’art. 17, paragrafo 3, lettera a), del regolamento 2016/679 oramai preveda espressamente che è escluso il diritto dell’interessato alla cancellazione allorché il trattamento è necessario all’esercizio del diritto relativo, in particolare, alla libertà di informazione, garantita dall’art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE.